Veneto Green Cluster




Il progetto ECODPI ha confermato che i DPI, attualmente, non vengono recuperati per riciclo a causa di limiti: (i) legislativi che, per esempio, non permettono di trattare i rifiuti ospedalieri poiché contaminati; (ii) logistici/produttivi, per la mancanza di una filiera territoriale predisposta al riciclo di questo tipo di prodotti (i DPI sono infatti spesso realizzati accoppiando diversi materiali) e organizzata per operare fasi molto peculiari (ad es. pre-trattamenti quali decontaminazione). Uno dei limiti tecnici al riciclo dei DPI è il fatto che siano spesso prodotti multimateriale, ciascuno di diversa natura e che quindi necessita di diversi tipi e condizioni di trattamento per il suo recupero. Per esempio, una mascherina chirurgica, che è certamente rappresentativa dei vari DPI presi in esame da questo studio, spesso è realizzata nei seguenti materiali:

4 strati in TNT di PP

1 strato in TNT di PET

Nasello in metallo ricoperto di PE (ed eventuale coprinasello in PU espanso)

Elastico in PA

Questi materiali sono di per sé riciclabili (essendo PE, PP, PET, PA termoplastici quindi rifusibili e PU termoindurente, riciclabile per via chimica) ma non sono compatibili se si considera un riciclo che tratti questi materiali in modo unificato. Ciò significa che per poter migliorare la riciclabilità dei DPI si può agire in 2 modi:

1. In fase di progettazione, predisporre la realizzazione di DPI monomateriale riciclabile, in modo che a fine vita non sia necessaria una separazione dei vari componenti prima del reprocessing;

2. In fase di recupero, si realizzi un sistema di separazione dei vari materiali, che vengano poi inviati separatamente a centri di riciclo idonei. Esistono numerose tecniche di separazione, suddivise in macrosorting (separazione macroscopica, come per le bottiglie) e microsorting (separazione di componenti di piccola pezzatura ottenuti dalla triturazione dei rifiuti). 

Nonostante lo studio di varie ipotesi di lavoro e il confronto serrato con gli addetti ai lavori (gestori di impianti di trattamento), le valutazioni costi/benefici portano a concludere che, nel caso dei DPI, è necessario attuare una raccolta differenziata a monte che divida i dispositivi ricchi in poliolefine (polipropilene, polietilene) come mascherine, copricamici, copriscarpe, cuffie (realizzati spesso in TNT di PP) dai dispositivi realizzati con altri polimeri (guanti, visiere, …) e successivamente destinare la frazione ricca in poliolefine a riciclo meccanico e la frazione di polimeri misti a riciclo chimico. Il riciclo meccanico richiederebbe i seguenti pretrattamenti:

1. Sterilizzazione

2. Macinazione

3. Separazione (microsorting – esistono numerose tecnologie ma la più utilizzata ed economica risulta essere la flottazione in umido)

4. Essiccazione

5. Densificazione

6. Estrusione (ed eventuale miscelazione con additivi)

7. Rigranulazione.

Lo studio ha fatto emergere con chiarezza che le tecnologie richieste per i processi sopra elencati esistono ma non sono unificate e non trattano rifiuti da DPI; risulta inoltre impossibile realizzare uno studio in scala di laboratorio che consideri tutti questi step poiché impianti che utilizzano le suddette tecnologie richiedono ingenti quantità di materiale (per esempio un impianto di densificazione richiede tonnellate di materiale) per capire gli effetti ed impatti. Estrusione, miscelazione e pellettizzazione/granulazione costituiscono invece processi che possono essere studiati in scala di laboratorio, per valutare la qualità del riciclato proveniente da un reprocessing di questo tipo. È infatti necessario uno studio della qualità del materiale riciclato poiché il processo trova ragione d’essere solo se il prodotto in uscita ha mercato (è quindi di buona qualità ed ha un basso costo). Una volta valutate le proprietà del materiale riciclato tal quale (tramite caratterizzazione fisico-meccanica, reologica e termica dello stesso), è possibile valutarne, in base all’applicazione a cui viene destinato, l’additivazione con compatibilizzanti, cariche inorganiche o polimero vergine, per migliorare le performance fisico-meccaniche e la lavorabilità. Per lo studio di miscela in scala di laboratorio tramite estrusione, miscelazione e pellettizzazione si rende necessario utilizzare un polimero in granuli (non TNT perché necessiterebbe della fase di densificazione) con lo stesso comportamento reologico (quindi simili caratteristiche di processo) di quello utilizzato per la realizzazione dei 2 tipi di TNT costituenti i DPI (meltblown e spunbond).

A differenza del riciclo meccanico, per il quale è stato realizzato un layout teorico e verranno poi studiate in scala reale solo le fasi finali (estrusione e rigranulazione), il riciclo chimico è invece analizzabile in via sperimentale poiché è in fase di costruzione e collaudo l’impianto di pirogassificazione presso Elite Ambiente, partner del progetto. 

Sebbene lo studio sia focalizzato sui DPI, i risultati in termini di conoscenza e tecnologia sono utilizzabili anche per altri materiali e facilmente trasferibili in altri contesti produttivi.



    Postato in:
  • Economia circolare
  • Gestione rifiuti
  • Progetto 1 - Scarti di acciaierie

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